Condizionamento mentale dei media in un’economia malata: Balla Dolly Balla

di Marcus Dardi


Parliamo spesso di condizionamenti mentali, di lavaggio del cervello, del potere che i media hanno su di noi, di messaggi subliminali e della propaganda politica che i film esercitano sul pubblico mondiale.
Sono fantasie? Direi di no, le prove sono gli studi scientifici sulle neuroscienze e gli studi di psicologia comportamentale.
Vi ricordate della pecora Dolly? Nel 1996 in Scozia al Roslin Institute fu clonata la prima pecora da una cellula somatica.
Poiché la cellula usata per la clonazione era una cellula mammaria, il nome che le fu dato fu Dolly in onore di Dolly Parton, prosperosa cantante folk statunitense.
La pecora Dolly visse solo sette anni poiché ebbe una precoce infezione polmonare.
Di infezioni polmonari ne sappiamo qualcosa anche noi testimoni della tragedia del 2020.
Dolly è diventata il simbolo della clonazione e del condizionamento di massa.
Oggi usiamo spesso il termine “lavaggio del cervello”, per indicare un condizionamento mentale di massa. Il termine proviene dalla guerra in Corea dove i cinesi usavano la tecnica “hsi nao = lava cervello” per torturare i prigionieri americani infondendogli sensi di colpa, di vergogna e per indurli a disprezzare il loro Paese.
La psicologia ha studiato questo fenomeno e viene applicato oggi, in diverse forme, in molti settori.
Il riflesso condizionato nacque dagli esperimenti dello psicologo Pavlov con il suo cane.


Oggi la pubblicità ed i media, ne hanno fatto gran tesoro e lo applicano tutti i giorni.
Il Re di queste tecniche è stato lo psicologo statunitense John Watson, che fu abilissimo nel creare riflessi condizionati nei consumatori tramite la pubblicità.

Lui sosteneva che le scelte di consumo dipendessero più dalle emozioni e dai sensi che dalla razionalità.
Da lui nacque lo stile delle pubblicità che puntano sull’immagine del prodotto, sul logo, su un personaggio famoso che ne faceva uso piuttosto che puntare sulla necessità del prodotto, sulla sua qualità e sull’effettivo beneficio per la gente.
Da lì, eravamo negli anni ’50 del XX secolo, è partita la tendenza di guardare più all’immagine che alla sostanza. Quindi prodotti scarsi, che facevano aumentare i profitti, o che magari erano del tutto inutili, se ben reclamizzati diventavano importanti per i consumatori.


Ecco un altro inganno di questa economia drogata e malata, dove l’inutile e lo scarso prevalgono sull’utile e sulla qualità. Questo fenomeno si chiama pubblicità persuasiva ma sarebbe forse più giusto chiamarlo pubblicità ingannevole.
Ne riparleremo ancora…

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Un abbraccio/ a big Hug
Marcus Dardi

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