“Tiocfaidh ár lá”- Il nostro giorno verrà!

Il 5 maggio 1981 Robert Gerard Sands, detto Bobby moriva nel carcere di Long Kesh a seguito di uno sciopero della fame, organizzato da lui stesso, per protestare per le condizioni inumane a cui i prigionieri repubblicani erano sottoposti nei penitenziari. Erano gli anni della rivolta separatista irlandese, gli anni dell’IRA, l’Irish Republican Army. Anni di scontri nelle piazze, attentati, anni in cui, a torto o a ragione, si scendeva in piazza a manifestare per degli ideali, per un sogno di libertà.

Se non riescono a distruggere il desiderio di libertà non possono stroncarti. Non mi stroncheranno perché il desiderio di libertà e la libertà del popolo irlandese sono nel mio cuore. Verrà il giorno in cui tutto il popolo irlandese avrà il desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna”.

Sono queste le ultime parole del diario di Bobby Sands che si lasciò morire a soli 27 anni per lottare in quello in cui credeva, dopo 76 giorni di sciopero della fame. Dopo di lui fecero la stessa cosa altri nove detenuti.

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Libertà! Libertà dei popoli di autogovernarsi. Libertà di autodeterminarsi. Libertà di secedere da stati occupanti, spesso frutto di colonizzazioni e che come tali non hanno più ragione di esistere. È questo che ha animato lo spirito di Bobby Sands per tutta la sua breve vita.

Avevo visto troppe case distrutte, padri e figli arrestati, amici assassinati. Troppi gas, sparatorie e sangue, la maggior parte del quale della nostra stessa gente. A 18 anni e mezzo mi unii all’IRA”.

Certamente dell’IRA si possono condannare i mezzi usati, la lotta armata, gli attentanti, ma non sicuramente la voglia di perseguire quella libertà di cui parlava Bobby, l‘Allodola irlandese, l’uccello che dopo Sands, divenne il simbolo della lotta dei detenuti repubblicani irlandese.

Ma in quegli anni, nei precedenti e nei successivi la voglia di libertà non era certamente un’esclusiva irlandese. La Scozia, il Galles, la Catalogna, la Corsica solo per citarne qualcuno. E qui da noi si può portare l’esempio del Sud Tirolo, del Veneto, della Lombardia, della Sardegna.

Ecco la Sardegna. Proprio sull’isola abbiamo un esempio simile a quello di Bobby Sands, se non altro nel finale: stiamo parlando di Salvatore Meloni, detto Doddore, l’indipendentista sardo che proprio come l’irlandese morì in carcere, a causa di uno sciopero della fame, il 5 luglio 2017.

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E come i militanti dell’IRA fu accusato di aver usato la lotta armata come strada verso l’indipendenza sarda e questo gli causò un processo assieme ad altri 27 attivisti imputati per aver eseguito un attentato dinamitardo alla sede cagliaritana della Tirrenia e ad un traliccio dell’Enel oltre che per aver cercato di portare avanti il complotto separatista attraverso alcuni atti terroristici tra cui un attentato dinamitardo nella sede cagliaritana della Banca d’Italia, il sequestro di due ufficiali della Nato e la distruzione (da attuare con aereomodelli carichi di tritolo) dei velivoli parcheggiati nell’aeroporto di Elmas.

Nel 1984 Meloni viene condannato a nove anni di carcere con l’accusa di cospirazione politica e associazione sovversiva contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato, unico italiano mai condannato per questo reato.

Infine l’epilogo: Salvatore “Doddore” Meloni viene condannato per frode fiscale e tradotto nel carcere di Uta, dopo un rocambolesco arresto con inseguimento mentre stava andando a costituirsi. In auto aveva pochi effetti personali e un libro autobiografico proprio di Bobby Sands. Si dichiara subito prigioniero politico e muore dopo 66 giorni a causa di uno sciopero della fame per protestare contro lo stato italiano. Va ricordato che proprio in quei giorni si apriva il dibattito politico sulla possibilità o meno di scarcerare Totò Riina in fin di vita, appellandosi al diritto di ogni uomo di avere una morte dignitosa. E credo che qui ogni commento sia inutile se si confrontano le due cose.

Chissà cosa penserebbe Salvatore Meloni se vedesse il “suo” Partito Sardo d’Azione alleato con la Lega nazionalista di Matteo Salvini al governo della sua terra.

Abbiamo citato il Sud Tirolo. Ebbene la sua tradizione indipendentista è conosciutissima. Regione di madrelingua tedesca annessa all’Italia un secolo fa ma non ancora completamente soggiogata. Anzi! La terra che fu patria di Andreas Hofer, simbolo dell’indipendenza del Tirolo, visse come l’Irlanda un periodo caldo a cavallo tra la metà degli anni ’50 e la fine degli anni ’80 con attentati, in tutto 361, con esplosivi, mine antiuomo e mitra, ad opera del BAS, il Befreiungsauschuss Südtirol”, ovvero il Fronte di liberazione del Südtirol, che ebbe il suo culmine la cosiddetta “notte dei fuochi”. Tra l’11 e il 12 giugno 1961, giorno del Sacro Cuore di Gesù, si contano ben 37 attentati, in particolar modo ai tralicci, e il primo morto, Giovanni Postal, uno stradino che cercava di disattivare un ordigno.

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Altri tempi. Per fortuna questi fatti di sangue non accadono più. Però ciò non azzera la voglia di indipendenza del Sud Tirolo. Infatti qualche giorno fa, ed esattamente sabato 2 maggio, in tutte le valli altoatesine sono comparse scritte sotto forma di striscioni o di fuochi accesi sulle fiancate delle montagne, che inneggiavano al separatismo. “Los Von Rom” via da Roma dicevano, assieme all’aquila simbolo del Tirolo, segno che la questione è ancora viva e attuale.

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Insomma in tutta Europa, e l’Italia non ne è esclusa, i fuochi di libertà sono sempre più accesi ed alimentati. D’altronde se si vuole costituire una vera unione europea bisogna rendersi conto che gli stati nazionali, così come li conosciamo, non hanno più ragione di esistere. L’Europa se vuole avere un futuro, deve essere un’Europa dei Popoli, non un’Europa delle Nazioni.

Tiocfaidh ár lá”, il nostro giorno verrà, come diceva Bobby Sands. E per Dio se verrà.

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Regista televisivo e teatrale

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