
di Maurizio Ratti
L’Italia conta 60 milioni di abitanti. I pensionati sono 18 milioni. I dipendenti pubblici sarebbero 3,5 mln ai quali tuttavia si aggungono i contrattualizzati a tempo determinato, i 330.000 consulenti esterni, i precari e supplenti delle scuole, quelli in formazione lavoro, i professori a contratto, i ricercatori, i sottoposti degli organi istituzionali, gli interinali, gli LSU, i lavoratori socialmente utili, le collaborazioni coordinate continuative. E arriviamo oltre i 4 milioni, ma non è finita. Ci sono le partecipazioni pubbliche in ditte e società di servizi, nelle Spa di derivazione consortile, nelle controllate degli enti territoriali.
Per l’ANCI sono 3662 per l’IRPA molte di più, la stima varia da 3 a 6 mila. Lo Stato non sa neppure quante sono e soprattutto non conosce il numero esatto degli addetti. E le partecipate del Tesoro e del Ministero dell’Economia non le contiamo? RAI, ANAS, FERROVIE, POSTE, INVITALIA, ENI, ENEL, FINMECCANICA ecc. Valutazioni ISTAT parlano di 4.186 gruppi nei quali le quote pubbliche superano il 50% per un totale di oltre 700.000 stipendiati. Complessivamente quindi annoveriamo circa 5 milioni di individui nella sfera di proprietà statale.
Poi ci sono circa 18 milioni di lavoratori impiegati nel comparto imprese dai quali sottraiamo circa 1,5 mln da ascrivere alla precedente classe pseudo-parastatale. Ne risultano quindi 16,5 mln di cui 3 milioni assunti con contratto a termine. Gli indipendenti sono 5,3 milioni. Gli italiani in cerca di occupazione sono 2,5 mln dei quali 700.000 in cerca del primo lavoro. Dalle note trimestrali del 2019 emerge infine che gli inattivi in età lavorativa sono 13 milioni.
Siamo quindi di fronte a uno scenario con 23 milioni di statali e pensionati che godono di un introito inalienabile erogato dallo Stato, con 16 milioni e mezzo di salariati del settore privato che vivono del proprio lavoro retribuito ai quali in tempo di blocco da coronavirus verrà in soccorso la cassa integrazione, di 2mln e mezzo di disoccupati più 13mln di inattivi che si arrangiano con sussidi a vari livelli (CIG, mobilità, ammortizzatori vari e reddito di cittadinanza) oppure facendosi mantenere da qualcuno, lavorando in nero, commettendo illeciti e crimini, ma anche vivendo di risparmi o di rendita. Per tutta questa moltitudine di persone l’effetto coronavirus non ha scombussolato il reddito, per il momento.
L’unica categoria drasticamente penalizzata è quella degli imprenditori piccoli, medi e grandi, unici a creare ricchezza e occupazione produttiva, a versare tasse sugli utili, i quali perdono clientela e valore aziendale, compromettono esposizioni bancarie, per poi venire, secondo la piu’ classica delle tradizioni italiche, sfruttati, buggerati e presi in giro con questo indennizzo di 600 euro miserabile e condizionato.
L’aiuto deve essere ben più cospicuo, proporzionato al numero di subordinati, e alle imposte versate nella storia imprenditoriale. La Lombardia colpita due volte, tragicamente dai lutti, economicamente dalla miseria innescata dall’iniquità dei provvedimenti che privilegiano sistematicamente il Sud parassitario, negando risorse al generoso popolo delle Partite Iva Padane, depredate da un fisco asfissiante, abbandonate da un governo avido e ingrato.
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