
“Spalmum al furmai nis in sal pàn e ciapùm i bèg c’a scapa cui did”
Il formaggio coi vermetti è una specialità che unisce la provincia di Piacenza, in particolar modo l’alta Val Trebbia e la Val D’aveto, con alcune zone della Sardegna, anche se con i dovuti distinguo.
Diverse sono le versioni anche se quella ufficiale è segretata e tramandata da padre a figli. La variante è il tipo di formaggio di partenza che può spaziare dalla robiola al gorgonzola, dal provolone al grana, dal pecorino alla caciotta. E proprio quest’ultima pare sia la più usata dai produttori di montagna specie nella zona di Marsaglia, dove si vocifera venga prodotto il formaggio migliore.
La ricetta dicevamo è un segreto però da indiscrezioni pare che la caciotta debba essere riposta in una terrina coperta da un piatto che però deve lasciare dello spazio per l’aria e le moschine (musca dal furmai).
Quando nel vaso compariranno i vermetti bianchi e le moschine voleranno vuol dire che il formaggio è in gestazione. Qualche settimana di attesa al caldo e le moschine spariranno e rimarrano gli ultimi saltarei. A questo punto è pronto per essere mangiato.
Lo si può gustare al naturale con solo un filo d’olio oppure mescolato con panna, oppure con grappa o sambuca.
Altra variante è costituita dall’uso come base della robiola, che viene prodotta nelle zone montane piacentine.
La ricetta prevede che venga messa a pezzi in un vaso di vetro e fatta macerare con alcool o grappa e qualche cucchiaio di miele. Si chiude il vasetto col suo coperchio e si fa riposare in un luogo buio. Importante è ogni tre o quattro giorni aprire il vaso e bucare il composto con uno spillone.
Quando nel vaso iniziano a formarsi i saltarei sarà pronto da consumare.
I vermi conferiscono una morbidezza e una piccantezza caratteristica del furmai nis coi saltarei.
Va detto che una legge comunitaria ne vieta la produzione a livello commerciale per motivi sanitari ed igienici, per cui per gustarlo bisogna rivolgersi a qualche privato, che lo produce come si faceva nel Medioevo.
liberamente tratto da “piacenzantica.it”
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