Gianna Gancia. Al centro del dibattito ritorni il federalismo

Ospite d’eccezione di NordNotizie oggi Gianna Gancia,  Gianna vive a Narzole (Cn), nella residenza di famiglia. Dopo un’intensa attività imprenditoriale nei settori vitivinicolo e cinematografico, ad appena 36 anni è presidente della Provincia di Cuneo, eletta al primo turno con un numero di consensi (54 per cento) senza precedenti in Provincia. Terminato il mandato, diventa presidente del gruppo Lega Nord in Consiglio regionale del Piemonte, oltre che presidente nazionale del movimento in Piemonte, risultando la più votata dei candidati del Centrodestra in regione.  Alle elezioni europee dei 2016 è eletta europarlamentare nella circoscrizione Nord Ovest con 19.194 preferenze. Convinta sostenitrice del Federalismo, auspica che il dibattito, dopo la crisi coronavirus, riparta da li.

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On Gancia, partiamo dall’Europa. In queste ultime settimane lei si è dimostrata molto attiva in Parlamento Europeo sul fronte dell’emergenza sanitaria legata alla crisi Covid-19 con alcune dichiarazioni di voto scritte, volte a promuovere gli investimenti in risposta al coronavirus. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen nell’ottica di coordinare una risposta comune alla emergenza, ha istituito un team di risposta al coronavirus a livello politico assicurando agli Stati membri ad esempio assistenza finanziaria fino a 100 mld di euro sotto forma di prestiti agevolati. Come si è mossa, a suo parere, la Commissione, sia nel definire sia gli interventi, sia nel coordinare una azione comune tra gli Stati membri ? Come giudica l’atteggiamento scettico dei paesi nordici nei confronti dei possibili provvedimenti ?

Già il 22 febbraio, quando in Italia non era ancora chiara a molti la piega che poi avrebbero preso gli eventi e nel resto d’Europa si continuava a ripetere che il coronavirus fosse una semplice influenza, auspicavo una risposta comune da parte dell’Unione per affrontare quella che ai miei occhi si prospettava essere un’emergenza: purtroppo avevo ragione. Devo dire in tutta onestà che la Commissione europea, sotto la presidenza di Ursula von der Leyen, ha adottato misure poderose e in tempi rapidi, coadiuvata nella sua azione dalla Banca Centrale Europea che, a parte quell’uscita quantomeno evitabile di Madame Lagarde, ha lanciato un piano di Quantitative Easing da 750 miliardi che non ha precedenti nel nostro Continente. Sul piano del coordinamento tra Stati, purtroppo vengono fuori tutte le falle di un’Unione incompleta e che fino ad ora non ha spinto nella giusta direzione per ottenere una maggiore integrazione: la frattura non è tra Paesi del Nord e del Sud d’Europa, ma tra Paesi con scarso debito pubblico e Paesi fortemente indebitati. È uno scetticismo che, purtroppo, comprendo ma che non deve farci prescindere dal fare uno sforzo collettivo per trovare una risposta comune.

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 On Gancia, torniamo in Piemonte. Lei è stata sia Presidente della Provincia di Cuneo, sia in Consiglio Regionale e quindi conosce molto bene le dinamiche della sua Regione. Mentre in Lombardia e in Veneto lo scontro tra Regioni e Governo è evidente nella gestione della crisi soprattutto sul piano sanitario, ciò non sembra essere accaduto in Piemonte, nonostante, dopo la Lombardia, sia una delle regioni più colpite.  Un esempio da seguire? Il governatore Cirio ha appena dichiarato che le misure del governo, seppur apprezzabili per lo sforzo e l’impegno, non sono sufficienti e ritiene necessarie misure aggiuntive che il Piemonte sta attuando. Cosa ha funzionato in Piemonte e cosa invece non ha funzionato?

Il Piemonte si è trovato nel mezzo di una fortissima emergenza, forse solo velatamente minore rispetto a quella lombarda. La sanità piemontese affrontava in partenza una situazione di grave difficoltà: basti pensare che in 10 anni sono stati tagliati quattromila posti di lavoro, un dato in linea con la media italiana ma ben più consistente rispetto a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. In più sembra che Torino, come Milano, si sia trovata in una situazione di maggiore difficoltà per via dell’alta concentrazioni di presidi ospedalieri e servizi di assistenza per gli anziani. È vero che il Governatore Cirio ha adottato un registro comunicativo diverso, non cercando mai lo scontro frontale con il governo centrale: un atteggiamento che in un momento come questo ho apprezzato molto. Ma è anche vero che, terminata l’emergenza, si dovrà tornare a parlare di un tema fondamentale come quello del federalismo, soprattutto in ambito sanitario. Troppo spesso in questi mesi abbiamo assistito ad azioni quanto meno discordanti da parte della Protezione Civile, basti pensare all’approvvigionamento del materiale sanitario. Colgo l’occasione per ringraziare e complimentarmi con l’Assessore alla Sanità Luigi Genesio Icardi, il suo staff e il Direttore Generale Fabio Aimar per il grande sforzo che stanno compiendo, insieme ai nostri straordinari medici e personale sanitario, dall’inizio dell’emergenza.

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Come sarebbe stata affrontata la situazione se le regioni che hanno chiesto maggiori forme di autonomia, come anche la sua, l’avessero ottenuta? Quali elementi dell’autonomia sarebbero stati essenziali per cambiare radicalmente l’approccio economico, sociale e sanitario delle regioni, in particolare del suo Piemonte?

Nel 2018 presentai un progetto organico di autonomia per il Piemonte, che poi a fine 2019 è stato approvato dalla nuova Giunta Regionale, sotto forma di delibera, col nome di autonomia differenziata. Ovviamente l’emergenza coronavirus ha poi rallentato le trattative col governo centrale. Se non fosse stato perso tempo negli anni precedenti, forse qualcosa in questa crisi sarebbe stato diverso. In quel testo che presentai vi era un disegno completo e a lungo termine di come, nella mia visione, dovrebbe essere una regione autonoma. Autonoma nella gestione delle sue risorse economiche, sociali, umane e paesaggistiche, ma soprattutto in grado di scavalcare tutte le lungaggini e i cavilli burocratici di Roma. Parlare ex post risulta sempre facile, ma a mio parere se fossero stati introdotti per tempo meccanismi di responsabilità per gli amministratori pubblici insieme a maggiori risorse a disposizione dei nostri servizi regionali, forse qualche errore poteva essere evitato. E ritorniamo di nuovo alla questione dell’approvvigionamento del materiale medico. Chi meglio di un amministratore locale conosce le necessità del suo territorio in termini di allocazione delle risorse?

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L’ultima domanda se la faccia lei, un sassolino nella scarpa?

Mi piacerebbe che alla fine di questa emergenza, quando torneremo finalmente a parlare di politica, si possa rimettere al centro del dibattito la questione del federalismo, la riscoperta delle competenze e del valore del merito, soprattutto nella classe dirigente. Molto dovrà cambiare nel nostro Paese, e lo vediamo oggi che questa crisi sta portando alla luce tanti dei problemi amministrativi che ci attanagliano. E spero, nello spirito di quella che era Pontida, che a farlo saranno tutti coloro che credono nei valori del federalismo.

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