Con Gianfranco Miglio ho perso un amico e un maestro – parte terza

di Giancarlo Pagliarini

Suggeriva di eliminare le barriere tra il diritto privato e il diritto pubblico. Per i totalitari di destra e sinistra questa barriera c’è ed è a favore degli Stati. Invece per Miglio sono gli uomini che hanno dei diritti e questi diritti non possono essere mai legittimamente infranti da nessuno, nemmeno dallo Stato.

Credo che Miglio abbia influenzato Marco Vitale quando scriveva sul Sole 24 ore che “Il cosiddetto “primato della politica” è un’idea falsa e una società libera e aperta è sempre dualistica. Poggia cioè su una assoluta eguaglianza tra privato e pubblico” (“Una Costituzione per rifare l’Italia”, 9 Dicembre 1990), e vi assicuro che io ho pensato a Miglio quando alla Camera ho cercato di inserire proprio questo concetto nella Costituzione. Quell’emendamento naturalmente è stato bocciato dai rappresentanti del potere di sinistra ma, per la verità, nella circostanza non mi era sembrato particolarmente apprezzato nemmeno dai loro colleghi di centro e di destra. A volte, e anche questo me lo ha insegnato Miglio, nei Parlamenti il potere è rappresentato più e meglio dei popoli.

Un altro insegnamento, un’altra profonda convinzione che devo a Miglio, è che lo Stato non ha e non deve avere competenze “naturali”. L’uomo è naturale, non gli Stati. Dunque sbagliano quelli che sostengono che certi compiti competono allo Stato e non possono mai e in nessun caso essere affidati ai privati.

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Prima di lui, nel 1934, Carlo Rosselli scriveva “Vi è un mostro nel mondo moderno –lo Stato- che sta divorando la società…. Questo Stato bisogna abbatterlo… Avremo bisogno anche domani di una amministrazione centrale, di un governo, ma così l’una come l’altro saranno agli ordini della società e non viceversa. L’uomo è il fine, non lo Stato.” (Contro lo Stato, pubblicato in Giustizia e Libertà il 21 Settembre del 1934). Capite che scavando ancora all’indietro si arriva direttamente alla Rivoluzione Francese: il centralismo giacobino diventa Stato, lo Stato diventa Nazione, la Nazione diventa sacra. A quei tempi il traduttore del “Federalist”, il povero Trudaine de la Sablière, finiva sul patibolo. Al nostro profesùr è andata meglio: lo hanno “solamente” messo all’indice e accusato di tutto, impedendogli di operare in modo ancora più incisivo per cambiare la cultura del nostro paese.

Pensavo alle discussioni con Miglio quando ho provato ad inserire nella legge costituzionale sul cd “ordinamento federale della Repubblica questo articolo: “I Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato esercitano solo le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dall’iniziativa autonoma dei privati.” I detentori del potere statale naturalmente lo hanno subito bocciato.

Si sente talvolta affermare che lo Stato dovrebbe “delegare” ai privati certe competenze. Nulla di più sbagliato: il profesùr ci ha spiegato che lo Stato non può delegare nulla, perché è esso stesso oggetto di deleghe. I diritti appartengono originariamente ai cittadini e alle loro comunità locali. E sono loro che possono liberamente decidere di assegnare certi compiti ai governi centrali. Negare questa semplice verità significa aver perso la strada della logica e del buonsenso.

Io sono assolutamente sicuro che i preziosi insegnamenti che Miglio ci ha lasciato in eredità non andranno dispersi e che riusciremo a metterli in pratica e ad inserirli nelle Costituzioni dei popoli europei.

E quando ci saremo riusciti il nostro “profesùr” ci guarderà con il suo sorriso sornione, si accenderà un mezzo sigaro e ci dirà “Oh, era ora ragazzi. Meglio tardi che mai !”

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