
di Giancarlo Pagliarini
Il suo linguaggio era sempre preciso, piacevole e quando necessario anche pungente. Dopotutto spesso si trattava di rendere “pan per focaccia” e di smascherare la vera natura dello Stato moderno. Che, secondo Miglio, gestisce i rapporti politici con caratteristiche storicamente datate, capaci di generare i mostri del ventesimo secolo.
Il suo grande sforzo scientifico è stato quello di cercare, individuare e descrivere istituzioni nuove e diverse, non senza avere sempre un affettuoso sguardo al passato: è nota la sua ammirazione per le comunità olandesi del Seicento, così come per i comuni padani nel Medioevo.
Miglio ha cercato di identificare e descrivere istituzioni basate su un rapporto volontario e limitato.
In poche parole e semplificando al massimo: se un tempo prevaleva l’idea per cui i cittadini dovevano essere legati al “sovrano” da un giuramento per l’eternità, il nuovo millennio avrebbe dovuto aprire le porte a un mondo più libero, proprio perché il patto di fedeltà avrebbe dovuto essere sostituito da un “contratto”. Ed è ovvio che le regole che emergono da un mercato e che vengono consensualmente accettate dalle parti che liberamente aderiscono a un contratto, sono ben diverse da regole imposte dall’alto da un sovrano. Sia esso un re o chiunque altro.

Vi sembrano cose scontate? Se la risposta è si, ricordatevi che dobbiamo ringraziare uomini come Gianfranco Miglio. Voglio ricordarvi che anni fa giravano per l’Italia testi di catechismo per le scuole medie inferiori nei quali si potevano leggere cose di questo genere:
Il discepolo chiede: “Quando il principe aggrava i sudditi con enormi tributi e scialacqua il denaro dello Stato sarà giusta la ribellione e l’insurrezione del popolo?”
Il maestro risponde: “Non sarà giusta, perché il popolo non ha diritto di giudicare sui bisogni e sulle spese del principato; e lo Spirito Santo per bocca di San Paolo ha detto ai popoli: pagate i tributi, ma non ha detto ai popoli: rivedete i conti del re ”
E’ fuori discussione, e questo è un altro suo insegnamento, che gli uomini devono sempre e comunque trovare un modo di organizzarsi per andare avanti. Ma nessuna organizzazione può essere valida per l’eternità. Tutto cambia. Le volontà degli individui, i confini degli Stati, i rapporti tra le varie comunità. Ed è per questo che Miglio ebbe l’intuizione geniale della “Costituzione a termine”.
L’avrò sentito mille volte spiegare che non dobbiamo considerare lo Stato come qualcosa di sovraordinato, immutabile, sacro, anziché come una istituzione di base contrattuale, un patto costituzionale con il quale dei liberi cittadini spesso di etnia e lingua diverse come in Svizzera, uniti dagli eventi della storia, decidono, liberamente e senza nessun obbligo, di mettersi a vivere insieme, secondo la legge.
E a proposito di Svizzera, un semplice ricordo personale. Ero nella sua bella casa di Como. Mi prende per un braccio e mi dice “Sai Paglia, quando mi sento stanco o deluso io vengo qui ”. Apre una finestra e esce su una terrazza. “Perché? Cosa c’è qui? “ Gli chiedo. E lui, con il suo famoso sorriso e con il braccio teso: “Perché li c’è la Svizzera “ . Scusate, era solo un mio ricordo. Andiamo avanti.
Miglio, per quanto io posso ricordare, è anche stato il primo a parlare della “fine dello Stato nazione” e del sorgere di una nuova epoca segnata dalla globalizzazione, da un lato, e dal localismo dall’altro. Solo anni dopo le sue intuizioni le abbiamo trovate nel best seller mondiale di Kenichi Omhae “La fine dello Stato-Nazione ”.
Seguite la terza ed ultima parte domani su Nord Notizie
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